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La Folgore

Chi erano "I ragazzi della Folgore"?

Senza aggiungere null'altro, vi lascio alla lettura di questa meravigliosa pagina di storia, un racconto che non è frutto di fantasia, uno spaccato di vita vissuto nella drammaticità di una battaglia, che dà la giusta dimensione di com'era e di come è un "Uomo della Folgore".



- tratto dal libro -



I RAGAZZI DELLA “FOLGORE”


Si chiamavano così in tutta l’armata; e si che ve n’erano di ogni età: da Costantino Ruspoli che era il Decano e che aveva passata la cinquantina, a tanti e tanti altri che vent’anni li avevano di servizio e non di vita.

Ma tanto il nome aveva attaccato.

Forse per lo spettacolo di giovanile gagliardia che avevano offerto al loro arrivo nel deserto, quei battaglioni di splendidi figlioli lindi, atletici ed eleganti nelle divise sportive di buon taglio, forse per la serenità che traspariva da quei virili volti italiani di razza.

Bei volti di mediterranei dai lineamenti fieri e dagli occhi ad attirare l’attenzione: me lo fece notare un nostro giornalista che di soldati se ne intendeva e che s’era innamorato della “Folgore”. Erano occhi dall’espressione viva e candida, arditissimi fra gli arditi, occhi da angeli preraffaelliti.

Ma erano così anche quando in Patria combinavano delle marachelle. E Dio sa se vivaci com’erano, ne combinavano spesso anche quando in guerra andavano all’assalto in massa: lì, incontrati fra un inferno di scoppi; essi serbavano nello sguardo un certo non so che di chiara e di pulita espressione di gente abituata a vedere il mondo e le sue miserie dall’alto, sospesi ai tenui fili di un paracadute, proprio come dovevano vederlo gli arcangeli di Giotto.

Dicevo dunque che tutti li chiamavano “Ragazzi”; anche Rommel nelle comunicazioni: “Esprimo il mio vivo compiacimento ai Ragazzi del Battaglione tale per la prova fornita ecc.”. Ed erano in buca smagriti, con le barbe lunghe e le belle uniformi stinte dal sole del deserto; poiché erano belli così, bisognava vederli in battaglia; nei momenti cruciali della battaglia ravvicinata, assumevano incoscientemente atteggiamenti statuari.

Le giacchette racchiudevano i muscoli duri da atleti, nell’elastico gesto dell’ampio movimento del braccio che, strappata la sicura coi denti del fagottino rosso delle bombe a mano, le fece piombare con precisione fra le gambe pelose del nemico. ”Gli inglesi avevano imparato presto a conoscerli”.

Fu nel settembre, poche settimane dopo il loro arrivo in linea. Durante una puntata offensiva, un paio di nostri battaglioni, 90°, 100° e 30° Gruppo, si erano incuneati arditamente nel bel mezzo delle linee nemiche tenute da una Brigata Neozelandese. In una pausa del combattimento, una macchinetta sventolando un cencio bianco, s’era distaccata dalle postazioni nemiche avvicinandosi alle nostre. Era disceso un piccolo e petulante Generale che aveva chiesto del comandante italiano.

<<Siete circondati da ogni parte da forze superiori>>, gli aveva detto, <<ho varie decine di batterie e centinaia di carri pesanti pronti a far fuoco e ad assalirvi, vi concedo un quarto d’ora per arrendervi>> aveva aggiunto guardando l’orologio.

Il Colonnello Camosso, guardando a sua volta l’orologio, rispose: <<Siete di fronte a truppe d’assalto italiane, che considerano la vostra offerta come un insulto, Vi concedo cinque minuti per tornare onde siete venuto>>.

Poi il combattimento fu ripreso, la Brigata Neozelandese fu messa in fuga e quel Generale, poveretto, prigioniero.

Ne parlò il bollettino n° 831 e gli inglesi nelle trincee di fronte al campo d’azione in cui i Ragazzi esercitavano attività di pattuglia, fra una battaglia e l’altra.

S’interessava da molto tempo fra le opposte linee tutto un ordito di ricognizioni, di agguati e di colpi di mano.

Per ogni km. della terra di nessuno v’erano a dir poco un paio di pattuglioni intenti a tramare qualche brutto scherzo ai danni nostri, e v’era da starsene in guardia, che l’avversario era abile ed in forma.

Si rischiava di tutto, anche di trovarsi al mattino le sentinelle scannate o qualche posto portato via.

Tutto ciò divenne più difficile per il nemico, quando la”Folgore” entrò in linea.

Un battaglione qua un battaglione là, divisi in tutto il fronte; ed i ragazzi cominciano ad uscire loro di pattuglia notturna.

Per un paio di settimane si combattè così nella terra di nessuno, una delle più caratteristiche fasi della guerra. I telefoni dei comandi trillavano “Allarmi” Che c’è? ”Attaccano”…

Niente, niente, si rispondeva, ”Sono le pattuglie della Folgore che lavorano” e quelli tornavano a dormire più sicuri, sapendo che c’erano i nostri Ragazzi a caccia.

Rientravano all’alba sempre con un buon carniere, i cacciatori: prigionieri, armi, automezzi ecc. Ci fu una volta che tornarono con cinque carri armati pilotati, pugnale nella schiena dallo stesso equipaggio nemico.

L’Armata ne fece oggetto d’un ordine del giorno speciale alle truppe. Un’altra volta furono addirittura due aeroplani che s’erano disposti a volare basso sul capo dei ragazzi. Furono abbattuti a fucilate come due uccellacci da rapina; ne parlò anche il bollettino n° 855. I ragazzi cominciarono a fare della storia.

Naturalmente la lotta, per quanto episodica e dura, non mancava d’essere bella per l’accresciuta tenacia del nemico già agguerrito e per la disinvoltura dei Ragazzi nelle loro diavolerie. Molti cadevano in bellezza.

Da Visconti che rifiutava di celarsi alle cannonate, perché diceva: “Un Visconti non schiva il piombo dei Windsor” e cadde gridando “Viva L’Italia”, a Macchiato che chiedeva, prima di morire, di dirigere ancora il tiro dei suoi pezzi; v’era in tutti una tale potenza spirituale da ridurre la guerra alla funzione di semplice cornice alla bellezza dell’episodio.

L’orrore di quel fronte e le messe polverose delle armate, le tribolazioni e lo squallore desolato della natura, svanivano davanti al corpo di un paracadutista caduto, ricomponendo, ai miei occhi, il lontano e sfocato scenario del Golgota.

Il vero, unico protagonista era quel Ragazzo, disteso bocconi col pugno sanguinante ancora chiuso sulla bomba.

I fatti non erano meno. Ne ricordo uno per tutti.

Un ragazzone con la mano destra a brandelli che trovai nel posto di medicazione dopo un combattimento, se ne stava sotto i ferri tranquillo e disinvolto come se le mano fosse stata d’altri.

Mentre lo fasciavano sopraggiunse una barella con un ufficiale inglese malconcio per una feritaccia al petto. Il mio uomo lo guardò con l’occhio clinico del combattente e disse al dottore: ”prima lui…sta peggio di me…“ Né si lasciò toccare prima che l’altro fosse medicato e barellato.

Al momento d’andarsene, a medicazione ultimata, si avviò deciso verso sinistra. “Ei…dall’altra parte” gli gridò dietro il dottore, “ l’autoambulanza è a destra”. Il ferito si volse con un sorriso e mostrando la sua mano sana: ” Mi ero dimenticato di essere mancino – disse - questa è ancora buona” e si avviò verso la sua buca.

Erano fatti così i Ragazzi della “ Folgore”.

Il nemico ce l’aveva a morte con la “Folgore”, con questa, per lui stramaledetta divisione, che gli procurava perdite in ogni scontro.

Ai primi di ottobre volle prendere la rivincita. Aggiustò una colonna di reparti scelti. C’erano il 15° Royal Regiment West, l’Haut ed altri reggimenti noti, e dopo una preparazione d’artiglieria da sconquassare un intero sistema fortificato, attaccò con forza quadrupla un nostro caposaldo, situato in posizione assai delicata.

I ragazzi della Folgore del presidio, che avevano incassato a denti stretti quel preludio di uragano di cannonate, attesero. Gli assalitori rassicurati del nostro silenzio e ritenutici distrutti ed in fuga s’infiltrarono fra le maglie dei centri di fuoco; poi, di colpo, i nostri balzarono dalle buche e si avventarono su di essi.

Fu tale la sorpresa e lo sgomento per questa improvvisa resurrezione, da travolgerli e non dar loro possibilità di rabberciare una difesa efficiente. Dopo quattro ore di lotta, il 15° Royal Regiment West e l’Haut, ripiegavano malconci sulle loro posizioni, lasciando nelle nostre linee, morti, feriti e centinaia di prigionieri.

Terza citazione nel bollettino n° 858 del 9 agosto 1942.

Si giunse così tra combattimenti, scontri e scaramucce, alla fine di ottobre. Il nemico, forte di una schiacciante superiorità numerica, sferrò la sera del 23 ottobre l’offensiva contro le nostre linee. E con chi se la prende? Ancora inizialmente con la Folgore, schierata all’ala destra del fronte, in pieno deserto. Forse perché aveva i denti avvelenati coi Ragazzi, certo è che si scagliava con tre divisioni di fanteria, una divisione corazzata, una brigata d’assalto, ed un putiferio d’artiglieria, contro le posizioni della Folgore.

Fallito l’attacco di sorpresa, il nemico tenta di schiacciarli col peso del suo potenziale.

Ma la Folgore combatte durissimamente dal 26 al 30. Nuove ondate di carri armati tentarono sopravanzare quelli stroncati dal fuoco della difesa. Non passano. Le artiglierie nemiche rovesciano rabbiosamente tonnellate di esplosivo e le nostre linee ribollivano di scoppi.

Cadono i fratelli Ruspoli, Simoni e tanti altri, non vi è uomo in linea che non sia pesto e malconcio. Ma il nemico, vivaddio, non passa. Ogni volta che tenta un attacco conclusivo, si vede contrassaltato e respinto da manipoli di diavoli scalmanati, urlanti a squarciagola “Folgore”. Così per sette giorni.

Alla fine il nemico, esausto e scoraggiato, rinunciava alla partita. Aveva lasciato oltre 500 morti da seppellire, una ottantina di carri sforacchiati e fumiganti e se n’era andato a tentar miglior fortuna verso la costa. La storia della Folgore riunirà un giorno altre mirabili cose sul conto di quei Ragazzi.

Tagliati fuori da ogni comunicazione, isolati nel cuore del deserto, senza acqua né viveri né speranza di scampo, essi resistettero ancora per giorni e giorni, sbattuti come uno schiaffo sul volto del nemico. Ad ogni nuovo attacco “Arrendetevi” gridavan loro gli altoparlanti. “Folgore” rispondevano i Ragazzi.

Il nemico era costretto ad ammettere nella radio trasmissione della Reuter del giorno 31 novembre, che la resistenza opposta dai resti della Divisione Folgore, era veramente ammirevole. Ad essa si associava la radio del Cairo nell’ammettere che la Divisione Folgore aveva resistito oltre ogni possibile speranza.

V’è un punto del deserto di El Alamein, al km. 42 della pista dell’acqua, un cimiterino nudo e senza pretese architettoniche, dove su tumoli allineati dalle croci di abete è il nome di tutti. Nel mezzo v’è un semplice scritto, che vale più d’un intero cifrario: “FOLGORE”.

A chi la capisce esso dice:


“Fra le sabbie non più deserte

son qui di presidio per l’eternità i Ragazzi della Folgore

fior fiore d’un popolo e d’un esercito in armi.

Caduti per un’idea, senza rimpianto, onorati nel ricordo dallo stesso nemico,

essi additano agli italiani, nella buona e nell’avversa fortuna,

il cammino dell’onore e della gloria.

Viandante, arrestati e riverisci.

Dio degli eserciti,

accogli gli spiriti di questi ragazzi in quell’angolo di cielo,

che riserbi ai martiri ed agli eroi”