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Dr. Fabio Sgambati

Takrouna: per molti un nome che non dice nulla, per alcuni un posto esotico di villeggiatura, per pochi un luogo da ricordare come l’ultimo eroico sacrificio dei nostri soldati in terra d’Africa.
Anche io fino a pochi mesi fa facevo parte della prima categoria di persone che a Takrouna non associava nessun significato. La mia indifferenza e quella di molti altri italiani probabilmente è stata dettata da un inaccettabile manipolazione della storia italiana, che soprattutto negli ultimi 50 anni, causa l’assetto geopolitco internazionale, ha scelto di “deformare” o peggio ancora gettare nell’oblio alcuni episodi della nostra storia nazionale da cui noi tutti dovremmo trarre spunto.
Sta di fatto che nel compimento dei miei studi universitari presso la facoltà di scienze politiche dell’università di Trieste, ho deciso di porre fine a questa grave lacuna che avevo nei confronti degli episodi di Takrouna, dedicando alle gesta dei folgorini e dei fanti della Trieste la mia tesi di laurea.
Questa idea nasce quasi casualmente all’incirca un anno fa, quando mio fratello, laureatosi in storia contemporanea, aveva discusso una tesi sui fatti d’arme di El Alamein. Personalmente ho sempre avuto un forte interesse per la storia militare e sfogliando le pagine che descrivevano le gesta dei nostri soldati, e la tenacia con cui fronteggiarono gli uomini dell’8° Armata, mi chiesi fin da subito: ma dopo el Alamein è realmente finito tutto oppure qualcuno ha continuato a lottare con tutte le proprie forze senza rassegnarsi?
Domanda caratterizzata soprattutto dalla mia ostilità verso una “storiografia” che ha sempre privilegiato parlare dei soldati italiani come “vittime di una guerra” e protagonisti soprattutto di sconfitte e ritirate.
Probabilmente alla formazione di questa mia visione ha contribuito la mia esperienza triennale nel reggimento Lancieri di Novara ( 5°). Infatti quando prestavo servizio, come conviene ad ogni buon militare che tenga al proprio reggimento, decisi di conoscere la storia dell’unità di cui facevo parte.
Addentrandomi nei fatti d’arme che caratterizzarono i bianchi lancieri nell’ultimo conflitto mondiale, mi resi subito conto che la visione di quella porzione di storia che avevo appreso a scuola o guardando vari documentari era sostanzialmente diversa. Infatti a fianco del “solito” racconto di ritirata a piedi nel terribile inverno russo, si ergeva splendidamente anche il coraggio dimostrato nei combattimenti lungo il Don culminati con la carica di Jagodnij.
Quindi con queste motivazioni decisi di andare alla ricerca delle gesta che caratterizzarono gli uomini che sopravvissero dopo El Alamein. Studio che non è stata proprio agevole. Infatti nelle mie ricerche l’unico episodio più noto nell’ultimo atto della campagna africana era quello della battaglia del passo di Kasserine, nel quale spiccavano quasi esclusivamente le gesta di Rommel e dei reparti germanici.
E gli italiani? Eppure nelle cronologie è riportato chiaramente che gli ultimi ad arrendersi alle soverchianti truppe nemiche furono proprio gli uomini della I° Armata comandati dal generale Messe.
Continuando nella mia ricerca, mi sono imbattuto nello splendido sito internet http://www.uomofolgore.it/ curato da Daniele Spione.
Proprio grazie a Daniele, al suo prezioso lavoro e alla sua voglia di conservare la memoria delle gesta di coloro che si sacrificarono per l’Italia, sono venuto a conoscenza dell’epopea di Takrouna e delle gesta che caratterizzano i ragazzi della folgore dopo el Alamein. Quindi voglioso di “riportare alla luce” gli accadimenti di quel periodo storico mi sono messo in contatto mediante Daniele, i cui ringraziamenti non saranno mai troppi, con il bersagliere Claudio Ferrari che mi ha fornito il diario dattiloscritto dal Sottotenente Cesare Andreolli, Medaglia d’Argento proprio a Takrouna. A fianco di questo prezioso materiale si è aggiunto anche quello fornitomi dalla figlia di Andreolli, Lucilla, e da Rolando Giampaolo, figlio della Medaglia d’Argento Rolando Giampaolo.
Leggendo quelle pagine di storia sono stato attraversato da due sentimenti forti e contrastanti tra loro.
Inizialmente nel venire a conoscenza del sacrificio fatto dai nostri ragazzi nelle sabbie del deserto e sui pendii scoscesi della Tunisia, fui pervaso da una sensazione di grande orgoglio, di fierezza di essere italiano e di ammirazione nel sapere che uomini coraggiosi avevano dato tutto per difendere la propria Patria dall’invasione anglo americana.
Subito dopo però fui assalito da una forte sensazione di rabbia nel pensare che gran parte degli italiani non sapessero niente né di Takrouna e né degli eroi che si immolarono in Africa per cercare di difendere l’Italia.
Rabbia unita ad indignazione al pensiero che la nostra società avesse gettato nell’oblio il sacrificio di migliaia di nostri soldati, comportandosi come se le gesta del tenete Giampaolo, del sottotente Andreolli, del tenente Artusi e di molti altri non fossero mai esistite.
Sentimenti mitigati però dall’opera di Daniele Spione, Claudio Ferrari, Rolando Giampaolo, Lucilla Andreolli e dalle Associazioni Nazionali Paracadutisti d’Italia (con particolare riferimento alla sezione di Monza e al suo presidente Francesco Crippa che ho avuto la fortuna di conoscere), che con le loro opere fanno si che il sacrificio di quegli uomini in terra d’Africa non sia dimenticato.
Ed è grazie a loro se oggi posso dire di conoscere ciò che accadde a Takrouna ed esserne fiero, perché Takrouna non è solo un fatto d’arme ma bensì un insegnamento per tutti.
Non arrendersi mai di fronte alle avversità e combattere con tutte le proprie forze per la difesa dei propri valori ed ideali è questo che ci tramandano i valorosi eroi di Takrouna ed è per questo motivo che mi sono sentito in dovere di dedicare loro la mia tesi di laurea.




Dr. Fabio Sgambati