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Paracadutista Adamo Di Placido

Questa è la storia del paracadutista Adamo Di Placido, un visitatore che in un primo momento mi ha lasciato un messaggio sul "libro degli ospiti" a pag. 95 e dopo la mia risposta ha voluto lasciare a me e a tutti i visitatori traccia del suo passaggio e della sua orgogliosa esperienza nei paracadutisti.

 

Caro Daniele, lo hai voluto tu ma quando sei stanco avvertimi.
Il 2 Giugno 1957 (avevo17 Anni) andai con un Amico a vedere la sfilata a Via dei Foro Imperiali e mi trovai in mezzo ad una folla allegra festosa ed elettrizzata dall’evento (in fondo erano passati pochi Anni dalla fine della Guerra) ed a ogni reparto che sfilava erano applausi e grida di gioia a non finire non ti dico poi al passaggio dei Bersaglieri.
Ad un certo punto tutto il chiasso cominciava a scemare e non capivo il perché anche per il fatto che il mio campo visivo era ristretto poi cominciai a sentire solo il passo sui sampietrini di un reparto che arrivava, erano loro i Paracadutisti della Folgore e quando passarono d’avanti alla tribuna delle Autorità in un silenzio irreale lanciarono l’urlo “FOLGORE” fu l’apoteosi, ti giuro mi si è accapponata la pelle ancora adesso a distanza di tanti Anni rivivo quei momenti.
Io, come puoi ben capire un po’ per l’età un po’ per ignoranza non sapevo neanche chi erano i Parà i mezzi di informazione non erano certo quelli di oggi avevo sentito solo qualcosa della FOLGORE.
Da quel giorno cominciai ad informarmi meglio perché avevo deciso che quello era ciò che volevo fare, quando trovai la sede dell’A.N.P.I. (Via delle Milizie Roma) andai per iscrivermi  ed ebbi la sgradita sorpresa di non poterlo fare perché ci voleva la firma dei Genitori, in quel tempo si era maggiorenni a 21 Anni ed io sapevo che per me era impossibile averla per ragioni personali che non sto a raccontare perché non interessano nessuno e cosi dovetti rinunciare.
Passò molto tempo ma non avevo certo desistito all’idea, fino al giorno che scoprii che la mia sorellina molto più piccola di me aveva fatto la firma di nostra Madre su una nota presa a scuola all’ora scattò il ricatto “o firmi per me o lo dico a Papà” detto fatto ritornai in Via delle Milizie feci l’iscrizione e presi i moduli per la firma e per l’assicurazione (obbligatoria sig!! si pagava e non avevo una lira) li feci firmare e li riconsegnai. Tutto a posto, avrebbero messo in una bacheca quando sarebbe iniziato il corso (il V°).
Dopo qualche mese finalmente l’annuncio, cominciava il corso che si faceva in una palestra di Piazza Santa Croce in Gerusalemme la sera verso le Sette e io mi presentai puntuale.
Durò una decina di giorni per un paio d’ore a lezione e L’Istruttore era Piero Traveri c’era un vecchio paracadute mimetico senza imbracatura una materassina per imparare a cadere e una impalcatura metallica che simulava la porta dell’aereo a parte la gran polvere non c’era altro.
Finalmente arriva il grande giorno 8 MARZO 1959 decollo e lancio all’aeroporto di Guidonia presi i famosi moduli per la firma fasulla di mia sorella (ero sempre minorenne) che, ancora mi rimprovera, e mi presentai all’appuntamento in piazza della Repubblica alle sette di mattina dove cera un pullman Militare che ci portò all’areoporto di Guidonia, come posso descrivere la sensazione di quando vidi tutti quegli aerei in maggioranza Americani con la grande stella bianca al centro di due strisce rosse sui fianchi e che li potevo anche toccare, toccavo il cielo con un dito.
Nel pullman naturalmente c’erano tanti Paracadutisti con tute e bellissimi stivaletti da lancio e noi i nuovi che eravamo i 5 superstiti dei circa 20 iscritti del mio corso eravamo come i loro pulcini e (in borghese)con gli scarponi militari anfibi i più fortunati, io avevo un paio di gambaletti adattati.
Giunti all’aeroporto spaesati, frastornati, elettrizzati e intimoriti stavamo in disparte aspettando che qualcuno ci dicesse cosa dovevamo fare finche arrivò qualcuno che ci disse “che fate voi non prendete il paracadute?” noi vedevamo che tutti gli altri andavano a prendere una grande borsa grigia da un grande mucchio ma non sapevamo che erano i paracadute (CMP 53) finche non arrivò l’Istruttore e ci disse cosa fare e ci spiegò pure li sul posto se nel caso avessimo avuto bisogno come si doveva aprire il paracadute di emergenza, chi li aveva mai visti. Assurda l’incoscienza di tutti.
Andammo pure noi e ne prendemmo una ognuno ma quando l’aprimmo la sorpresa fu di vedere tutte quelle cinghie piene di fibbie e che nessuno di noi aveva mai visto perciò lo giravamo di qua e di là perché proprio non sapevamo come si faceva, chiedemmo aiuto a quelli più vecchi e finalmente lo indossammo e andammo all’appello per l’ordine di lancio del primo volo con l’unico vecchio SAVOIA MARCHETTI 82 (La vacca) il vecchio bombardiere dell’ultima guerra a disposizione, io fui chiamato per ultimo e perciò il primo alla porta, prima di salire ci consegnarono una prolunga di circa un metro della fune di vincolo per evitare di rimanere impigliati, durante il lancio, ai piani di coda dell’aereo o nel ruotino posteriore che non era retrattile perché era già successo che qualcuno ci rimase impigliato.
Restai diviso dai miei amici ma nel frattempo era arrivato mio Fratello più grande di 5 Anni che aveva saputo dagli Amici quello che avrei fatto quel giorno e si precipitò in aeroporto per tentare di dissuadermi e con lui ci incamminammo, gli ultimi della fila verso l’aereo che aveva acceso i motori e con una cassetta di legno a mo di scaletta i primi cominciarono a salire e le mie gambe cominciavano a tremare, mio fratello mi aiutò a salire raccomandandomi di fare tutto quello che mi avevano insegnato (cosa??) dopo aver preso posto guardai lui a terra e notai che aveva gli occhi lucidi e questo mi ha squassato il cuore perché gli volevo veramente bene e pensai subito che se mi succedeva qualcosa era Lui il primo a morire, tolsero “la scaletta” e cominciammo ad andare.
Ci spiegarono che per poter decollare poiché la pista non era abbastanza lunga era necessario ammassarsi sulle scalette interne fin quasi sopra le spalle dei Piloti, per non gravare sul ruotino posteriore e cosi facemmo.
Il direttore di lancio (l’unico) era il nostro istruttore Traveri dopo che decollammo e l’aereo per prendere quota con il frastuono pazzesco dei tre motori girava in tondo su Guidonia (quanti cimiteri sorvolava) prendemmo posto e agganciammo la fune di vincolo con la prolunga alla corda d’acciaio che finiva praticamente sotto i piedi del direttore di lancio.
Io primo alla porta, stavo con la spalla appoggiato alla serrandina in listelli di legno rotondi che vibrava tutta e che chiudeva un’anta della doppia porta e letteralmente aggrappato al maniglione guardavo la terra che lentamente si allontanava con la grande paura di cadere giù, quando arrivammo in quota e si avvicinava il grande momento e io ero in uno stato pietoso, troppe emozioni forti e tutte insieme tanto che l’istruttore ad un certo punto mi urlò “ce la fai a lanciarti?” in qualche modo gli dissi di si ma non credo di averlo convinto al massimo, perché quando urlò “alla porta pronti” mi girò e mi fece aggrappare con l’altra mano all’altro maniglione e dandomi uno spintone mi aiutò a vincere qualche titubanza che onestamente non avevo e saltai.
Dopo un’eternità mi “risvegliai” e non sapevo se ero vivo o morto in quell’improvviso silenzio ovattato mi ritrovavo “avvitato” appeso al mio paracadute e cominciai a contare milleuno, milledue poi ho realizzato e scoppiai a ridere istericamente, neanche il tempo di godermi il tutto che cominciai a sentire urla che venivano da terra che dicevano; tira, tira guardai giù e vedevo un tizio che correva verso di me sbracciandosi e urlandomi di tirare a cui si unì mio fratello, io sentivo ma non capivo cosa dovevo tirare poi mi resi conto che stavo toccando terra ma non era il prato, era asfalto e li sopra atterrai ma vi garantisco che ero talmente teso che credo di aver rimbalzato come una palla.
Poi il tizio che mi urlava di tirare, rimproverandomi in malo modo, mi disse che correvo il rischio di finire sopra il capannone (hangar) che era alle mie spalle non più lontano di sette o otto metri e che dovevo tirare le corde d’avanti per frenare la deriva che mi spingeva indietro. Meglio che non racconto i commenti di mio fratello nei miei riguardi ma ormai era fatta e se ne andò molto, molto arrabbiato pensando che ormai era tutto finito.
Invece quando andai a riconsegnare il paracadute al punto di raccolta mi dissero che su l’ultimo volo cerano dei posti liberi e se qualcuno voleva fare un altro lancio poteva iscriversi, andai immediatamente ad iscrivermi e per ironia della sorte ero di nuovo primo alla porta. Ma questa volta la cosa non mi turbava ormai ero un “veterano” e cosi feci anche il secondo lancio che mi sono veramente goduto e solo chi ha provato questa esperienza sa cosa voglio dire
Poi sono venuti gli altri lanci in giro per l’Italia ma non potevo farli tutti perché le mie finanze non erano molto floride e le trasferte e l’assicurazione erano a nostre spese.
Poi venne il momento del servizio Militare e naturalmente firmai per la Folgore e il 7 Marzo del 1960 mi presentai al CMP di Pisa.
Ma questa è un’altra storia che ti racconterò un’altra volta. Ti ringrazio dell’ospitalità e ti abbraccio calorosamente. Adamo
E sempre FOLGORE


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